Ricordi, Vita Vissuta

Un’ anno senza…

Ho impiegato qualche giorno a mettere giù questo post. Sopratutto perché era tutto nelle mia testa in un flusso continuo di idee, di discorsi, botta e risposta. Per dirla tutta avrei dovuto metterlo online due giorni fa il 17 marzo…. Ma nonostante mi mettessi davanti alla tastiera le dita non si muovevano e io rimanevo lì a fissare la foto di mio papà Umberto che un anno fa è venuto a mancare dopo una lotta strenua con la sua malattia.

A volte vorrei avere un’app che potesse scaricare i miei pensieri mentre guido. Si perché è mentre guido, quando vado o torno dal lavoro, che solo in moto, la mia mente macina un sacco di idee. Sapete l’idea di scrivere qualche riga su questo “anniversario” mi è frullata in mente dopo che sentivo colleghi e clienti parlare della festa del papà del 19 marzo. Sorridi e ascolti i racconti dei papà che li diverte vedere i loro cuccioli tentare goffamente di nascondere la letterina o il regalo fatto con l’aiuto della mamma. Poi ricordi… Poi mentre rientri a casa e nel tuo mondo all’interno del casco, mentre la moto ronza monotona nel lungo spostamento, ti sale il magone e non riesci a frenare le lacrime.

Alzi la visiera e speri che l’aria spinga via le lacrime e il magone. Speri che il vento a 100 all’ora ti faccia respirare… Apri la bocca e l’ossigeno arriva e se ne arriva! Perché in questo modo la mente anestetizzata dal quotidiano vivere si mette in moto e va più veloce della tua moto.

I pensieri vanno a mia sorella Elena che nonostante mettesse, papà, alla corde con i suoi continui battibecchi gli voleva un bene dell’anima. Lui che gli ha insegnato a camminare, ad andare in bici, a sciare, a giocare a tennis… Credo che papà sia fiero della donna forte e sicura (qualche volta fa ancora i capricci) che è diventata.

Chiudi la visiera, il rombo della mia Kawasaki è più ovattato ora che  quel guazzabuglio di pensieri mi porta a mia mamma che è rimasta accanto a Umberto praticamente sempre… Sino all’ultimo respiro. “Finché morte non ci separi” e ti rendi conto che quelle parole che pronunci nel giorno del tuo matrimonio sono così terribilmente reali. E pensi che quello è il vero Amore. Quello che nonostante sei con lui/lei da 40 anni ancora lo guardi come il primo giorno che ti sono venute la farfalle allo stomaco e lo chiami “Amore…”

Freno. Davanti a me il traffico si fa più intenso. Rallento. E penso a mia moglie, Rosanna. Penso ai nostri 12 anni di matrimonio, mi torna alla memoria una frase di papà quando la vide in uno dei primi incontri semiufficiali in oratorio: “Le picülina ed è propri belã” e lo ridisse il giorno del nostro matrimonio. Rosanna ha sempre avuto un posto d’onore nel cuore di papà; anche nei giorni della malattia, la sua voce squillante gli riusciva a strappare un sorriso.

Arrivo in fondo a un vialone, lo conosco a memoria, lo conosco talmente a memoria da sapere dove c’è il più piccolo buco, avvallamento. Scalo rapidamente le marce e la Kawa si lascia guidare in uno dei rari curva e contro curva del percorso verso casa. Sinistra, destra e accelero tento di arrivare prima che il semaforo diventi rosso… Niente, forse qualche cavallo in più. Un paio di pacche sul serbatoio “Tranquilla va bene così” (si ogni tanto parlo con la mia moto); metto in folle e fisso il serbatoio.

Penso che a 47 anni dovrei essere un uomo “fatto” (come dicevano i nonni), che dovrei essere in grado di affrontare ogni genere di prova che la vita mi pone davanti, però… Però oggi avrei bisogno di quel silenzio uomo che era papà, non perché mi desse la soluzione e qualche frase d’effetto tipo coach life; ma per quella pacca o quella stretta al collo che voleva farsi abbraccio. E poi finiva con un “… Ci facciamo una birra?”

Sono quasi arrivato a casa. I soliti gesti, quelli di tutti i giorni. Apri il cancello, apri il box, spingi la moto, cavalletto. La moto è spenta, tolgo il casco e rimango a fissarla mentre ascolto il ticchettio del metallo del motore mentre si raffredda. E sorrido!

Sorrido! Si sorrido perché penso che quest’anno è la prima festa del papà per mia nipote Giada e il suo papà Raffaele. Perché vedeste come gli si illuminano gli occhi quando vede quella strufolina che è la sua adorata Giada.

Sorrido perché anche per Samuele e il papà Davide è la loro prima volta. Perché me li vedo mentre Dadonzi esulta per l’ennesimo gol della sua Juve e il piccolo Samuele se la ride spassosamente (che ancora non sappiamo se perché sia buffo o altro…)

Entro in casa, giubbotto casco zaino. Mi siedo davanti al MacBook. Fisso la tastiera.

Un anno senza di te, papà. Mi manchi… E ammetterlo ci vuole tanto. Cosa manca… Ah! Si! Auguri papà, buona festa della papà!


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